Sine Requie Venezia
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Messaggio  IronSarge Mer Ago 26, 2009 9:37 am

Nome: Sebastiano Bocconi
Giocatore: Jacopo
Cronaca: Vita Nova
Nazionalità: Italiana
Professione: Templare
Famiglia: Bocconi
Data di Nascita: 17/6/1933
Età: 21


Storia del Personaggio:
Figlio di Pierluigi Bocconi e Rosetta Fraschi, nato a Ferrara nell’estate del 1933, nel dodicesimo anno dell’era fascista. L’Italia all’epoca era un Paese dominato dall’assolutismo delle camicie nere, un Paese in cui la libertà di pensiero, di parola e di opinione erano visti come minacce alla stabilità del regno. L’Italia era rappresentata da un Re, ma governata da un Duce. Pierluigi, padre di Sebastiano, era un libraio. Un uomo alto, pur se dal fisico non molto prestante, ma dalla mente acuta e aperta, secondo alcune delle orecchie del Duce, troppo aperta. Venne malmenato e picchiato a sangue da una squadraccia fascista, quando Sebastiano aveva otto anni. Pierluigi aveva parlato al bar della trascorsa guerra in Etiopia, dove un suo amico aveva prestato servizio, e di come le truppe italiane avessero massacrato decine di innocenti. Sebastiano vide il padre portato a casa a braccia dallo zio, fradicio del suo stesso sangue “Papà è stato assalito dai mostri in camicia nera” gli disse Rosetta, sua madre, quando egli andò a chiedere che cosa fosse successo “Ma perché nessuno lo ha difeso?” rispose Sebastiano “Perché, amore mio, tutti hanno paura dei mostri, e nessuno ha il coraggio di affrontarli”. Pierluigi fu costretto a zoppicare per il resto dei suoi giorni, ciononostante continuò il suo lavoro di libraio, e non si presentò mai più al bar. Sebastiano sentì per la prima volta la paura di un male soverchiante, che nessuno sapeva affrontare. Un male che oramai era troppo tardi per allontanare dalla sua famiglia. Gli anni passarono, la guerra infuriava su tutti i fronti, la radio diceva che presto l’alleato tedesco avrebbe garantito la completa vittoria. L’8 Settembre 1943 Sebastiano aveva dieci anni, non capì che cosa intendeva la voce di quell’uomo alla radio, quando aveva parlato di armistizio. Chiese a sua madre perché piangeva. Lei gli rispose che finalmente i mostri sarebbero stati cacciati, che finalmente la guerra e la fame sarebbero finiti. I tedeschi occupavano la città, e continuarono a occuparla. Si mormorava ormai nei bar e nelle chiese, pareva che l’Italia presto sarebbe stata salvata da quella che ormai era diventata una spietata occupazione. Molti dei giovani di Ferrara avevano rifiutato di giurare fedeltà agli alleati tedeschi, ed erano fuggiti dalla città, cercando rifugio nelle campagne… La resistenza si stava organizzando. Il Fedelmarescallo Bergmann, a capo delle truppe tedesche che occupavano la città, aveva stabilito il coprifuoco e razionato il cibo. Come molte altre città del nord, anche Ferrara doveva subire il giogo dell’occupazione nazista. Il padre di Sebastiano passava intere giornate a letto ormai. La libreria aveva dovuto chiudere per la miseria che era susseguita alla disastrosa guerra, la madre Rosetta si dava da fare per cercare di portare a casa qualcosa da mangiare. Si trattava di una donna dalla personalità mite, dal carattere docile e molto dolce e protettiva nei confronti del marito e del loro unico figlio. La curia cittadina faceva il possibile per aiutare le persone più povere, e venne il momento in cui anche la famiglia di Sebastiano fu costretta a chiedere aiuto alla chiesa per non soffrire la fame. Donna Rosetta era dotata anche di una particolare carità cristiana, e aiutò molto il parroco del loro quartiere a portare aiuto a persone bisognose, a volte anche a nascondere disertori o ebrei, consentendo loro di sfuggire alla cattura tedesca. In casa Pierluigi ascoltava molto la radio. Sebastiano non prestava molta attenzione a quello che diceva la voce gracchiante che usciva da quell’apparecchio.
Sebastiano ricorda che era un giorno caldo, poco più di dieci giorni prima del suo compleanno, quando suo padre chiamò sua madre in camera, dove tenevano la radio. Sentì sua madre piangere, dire che era giunta l’apocalisse per i troppi peccati che gli uomini avevano commesso nell’ultima guerra. Sebastiano non capiva, ma quando chiese che cosa fosse successo, la madre gli proibì, tra le lacrime, di uscire di casa. Nei giorni successivi Sebastiano non capì che cosa era successo, non subito. Sua madre era uscita solo una volta di casa, da quando era stato fatto quell’annuncio alla radio. Lei e suo padre avevano sprangato la porta di casa, anche se le finestre erano ancora aperte, e davano sulla strada. L’appartamento in cui la famiglia viveva era al primo piano, e Sebastiano era un ragazzo agile, il suo giovane fisico si sentiva costretto all’interno di quelle quattro mura. Il giorno del suo compleanno i suoi genitori gli fecero gli auguri, ma non avevano alcun regalo per lui. Un po’ incupito Sebastiano si mise in salotto a leggere uno dei libri che papà aveva portato a casa dalla libreria prima di chiuderla. Era “L’isola misteriosa” di Giulio Verne, un libro che parlava di avventure, di mistero e di posti lontani dai muri di casa che Sebastiano pian piano stava cominciando ad odiare. Era una bella giornata di luglio, saranno state all’incirca le cinque del pomeriggio. Non c’era niente che Sebastiano avrebbe voluto più di riuscire a mettere il naso fuori di casa, almeno il giorno del suo compleanno. I suoi genitori si erano chiusi in camera. Succedeva spesso da quando avevano sprangato la porta. Sebastiano avvicinando l’orecchio alla porta aveva sentito sua madre piangere, e la voce di suo padre cercare di consolarla. Il ragazzino guardò fuori dalla finestra. Per strada non c’era nessuno, non si sentiva neanche un rumore. Era strano, sembrava che tutte le persone fossero sparite. In lontananza vedeva il profilo dell’edificio più alto della città, il castello. Sapeva che i tedeschi ci abitavano adesso, gliel’aveva detto sua madre, tempo fa. Però era un edificio che lo aveva sempre affascinato. L’aria fresca di quella giornata estiva gli carezzava il volto, mentre si sporgeva dalla finestra per guardare in fondo alla via. Non c’era davvero anima viva. L’unico segno della presenza di vita in città erano ormai gli spari che si sentivano, sporadici, da una settimana a questa parte, riecheggiare nel silenzio cittadino di tanto in tanto, frammezzati dal suono distante di qualche granata, lontana. Sebastiano era curioso di sapere ciò che stava succedendo, troppo curioso. La grondaia che dal tetto scendeva fino a terra era stato un appiglio che gli aveva permesso di arrivare al suolo senza neanche sbucciarsi un ginocchio. Un po’ gli dispiaceva per aver disobbedito agli ordini dei suoi gentori, ma in fondo era il suo compleanno… Lo avrebbe fatto solo per questa volta. Il ragazzo prese a passeggiare in direzione del centro cittadino, dirigendosi nel suo passeggiare solitario, inconsapevolmente al castello.
Stava camminando da una ventina di minuti buoni ormai. Per strada non aveva visto anima viva, nemmeno un gatto o un cane randagio. Mentre camminava cominciò a sentire, distante, un ritmico e secco rumore metallico. Era un rumore strano, che si ripeteva a intervalli regolari, non brevi ma neppure troppo lunghi. Sebastiano, cauto, volse i suoi passi in direzione dell’unico rumore che aveva sentito oltre a quello del battito del proprio cuore, dal momento in cui era uscito di casa. Era strano, pareva che quel ticchettio gli desse quasi il ritmo. *tlac*… respiro… *tlac* …respiro… *tlac*… respiro… Sebastiano giunse vicino a dove proveniva il rumore. Non riusciva a capire che cosa poteva essere a provocare quel suono, sembrava una qualche sorta di meccanismo. Il ritmico rumore proveniva apparentemente da dietro un camioncino parcheggiato a bordo strada. Il ragazzo si sporse oltre il mezzo, il cuore gli batteva all’impazzata per l’emozione. Poi inorridì. Seduto a terra, con la schiena appoggiata al furgone, vi era il corpo di un giovane soldato tedesco. L’uniforme era strappata e ridotta a brandelli in più punti, macchiata del sangue del suo possessore, ormai rappreso. Un fetore disgustoso emanava da quel corpo, che, gonfio dal calore delle giornate estive, era in stato di decomposizione avanzata. La testa del corpo non era coperta dall’elmo, ed era aperta come se fosse esplosa dall’interno. Ma non era questo a pietrificare Sebastiano. Il soldato teneva nella mano destra una Luger, e puntava la pistola alla tempia. Il cadavere premeva il dito sul grilletto dell’arma, ritmicamente. La Luger, senza proiettili, faceva scattare il cane a vuoto, producendo un ritmico *tlac* che si riproduceva uguale a se stesso, identico e ripetuto nel tempo, all’infinito. Sebastiano non seppe mai per quanto tempo contemplò quell’orribile spettacolo. Quando cominciò a correre per ritrovare la strada di casa il sole stava per tramontare, non aveva mai avuto più paura di così in vita sua. Le strade e le viuzze della parte più vecchia della città, dove si era avventurato, sembravano tutte uguali, un terribile labirinto senza uscita per un bambino di undici anni.
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Messaggio  IronSarge Mer Ago 26, 2009 9:38 am

Don Enrico era un uomo che aveva preso i voti da appena una ventina d’anni, ben inserito nel mondo ecclesiastico, ma ancora troppo giovane per poter sperare di fare carriera tra le fila della Santa Madre Chiesa. Era uno dei parroci della diocesi della città di Ferrara, a quanto ne sapeva poteva essere tranquillamente rimasto l’unico vivo, da quando, poco più di dieci giorni fa, era iniziata l’apocalisse. Le truppe tedesche che presidiavano la città, aiutate dai repubblichini fedeli agli alleati nazisti, avevano ormai smesso di dare la caccia a ebrei e imboscati. La piaga dei morti risvegliati stava richiedendo ogni singolo proiettile, italiano o tedesco che fosse, per tenere libera la città. Ogni soldato, donna, bambino che moriva andava a ingrossare le fila dei mostri. Zone sempre più ampie della città erano state interdette ai civili per la loro “protezione” e ora era stato fatto divieto assoluto a chiunque di uscire dalle mura della vecchia addizione erculea, la parte meglio difendibile di tutta la città, la parte verso cui Enrico si stava dirigendo di tutta fretta. L’ordine di evacuazione della zona residenziale della città di Ferrara era stato emanato via radio non appena ventiquattr’ore prima, il limite per presentarsi alle mura sarebbe scaduto quella sera, dopodiché i portoni sarebbero stati sprangati, per tenere fuori i morti. Don Enrico era un uomo alto, con le spalle larghe. Il suo fisico assomigliava più a quello di uno dei tanti contadini italiani, cresciuti spingendo l’aratro tra i campi, che non a quello dei tanti prelati che predicavano in latino dagli altari delle vecchie chiese. Enrico camminava sotto il sole, l’abito talare lo faceva dannare per il caldo, con quella stoffa nera e pesante. Portava con se tutti i beni di prima necessità che era riuscito a recuperare dalla curia, più qualche oggetto prezioso, che sperava di salvare dalle mani di sciacalli morti di fame che sicuramente non avrebbero esitato a rubare e vendere i sacri ornamenti della chiesa per potersi procurare di che mangiare, o semplicemente per avidità. Le sue spalle larghe portavano due pesanti sacchi, e il prete arrancava, solo, per la strada in salita che conduceva alle mura, dove sarebbe finalmente stato protetto dagli orrori che infestavano la città. Le strade erano deserte, come ormai da una settimana a questa parte, i rumori di spari si erano fatti nei giorni sempre più rari, man mano che i soldati si rendevano conto che le munizioni prima o poi sarebbero finite, mentre i morti non accennavano a diminuire di numero, per quanti il piombo dei moschetti o delle pistole riuscisse ad abbatterne. A Don Enrico non piacevano i tedeschi, non piacevano i fascisti e non piaceva soprattutto la guerra che ormai impoveriva il Paese da anni. Eppure, per Dio, anche i tedeschi erano esseri umani, e di fronte a questo evento che aveva scosso le vite di tutti, si erano dati da fare per salvare il salvabile, quello poteva riconoscerlo. Sperava solo che la loro mentalità teutonica fosse abbastanza preoccupata dalla marea di morti risvegliati per lasciar perdere tutti quei farneticanti discorsi sull’impero, la razza ariana e Dio solo sapeva che altro. Enrico vedeva le mura in lontananza, ancora poco meno di mezz’ora di cammino e avrebbe finalmente avuto alle spalle le vecchie pietre del centro cittadino a frapporsi fra lui e le entità malvagie risvegliate Dio solo sapeva perché o da che cosa. La strada era silenziosa, silenziosa ed assolata. Enrico notò un mucchio di stracci abbandonato sul ciglio della via. I suoi passi lo portarono quasi per sbaglio a passargli di fianco, doveva riposare per un attimo all’ombra se non voleva che fosse il caldo di quella giornata di giugno a ucciderlo, invece dei morti. Quando poggiò a terra i sacchi volse di nuovo lo sguardo verso gli stracci. Era un bambino. Il parroco trasalì. Possibile che il Demonio avesse avuto l’arroganza di impadronirsi anche delle creature più innocenti per farne degli strumenti di morte? Ma il prete non voleva pensare a quell’orribile idea. Rimase fermo a guardare il corpo di quel bambino biondo, abbandonato per la strada. Finchè il petto del giovinetto non si alzò e si abbassò. Respirava. Don Enrico corse fino a quel piccolo fagotto, andando a poggiare le dita sul collo di quel corpicino così esile. Il cuore batteva, era vivo. Un sospiro di sollievo uscì dal petto del giovane e forzuto prete. Poteva fare ancora qualcosa per salvare questa piccola creatura di Dio dalle mani del Demonio. Prese con delicatezza il bimbo tra le braccia, che si lasciò sfuggire appena un gemito. Il viso del piccoletto era sporco di sangue, pareva averne perso un bel po’ da un brutto taglio che percorreva i lineamenti di quella creatura, sfregiandone il volto, che altrimenti, avrebbe detto Enrico, sarebbe potuto essere stato quello di un piccolo angelo dai capelli biondi. Il prete prese un profondo respiro, quindi si incamminò di nuovo per la strada in salita, lasciandosi alle spalle i sacchi con le ricchezze della sua chiesa. “La vita di un bambino innocente varrà pure l’oro e i sacrifici dei tuoi fedeli, Signore” mormorò mentre si dirigeva spedito verso le mura.
Quando Sebastiano riaprì gli occhi azzurri scoprì che era stato tratto in salvo, e che ora si trovava, come coloro che ancora rimanevano di vivi nella città, imprigionato nelle antiche mura dell’addizione erculea, l’ultimo baluardo di difesa degli abitanti viventi di Ferrara. Non gli fu permesso di uscire dalle mura per raggiungere i suoi genitori, i morti ormai avevano preso possesso di tutto il resto della città, e la famiglia di Sebastiano non era riuscita a raggiungere in tempo l’ultima zona sicura. Don Enrico si prese cura di lui, lo adottò e lo istruì. Il tempo passava, con lo scorrere dei giorni, delle settimane e dei mesi, la comunità di ferraresi si accorse di essere completamente isolata dal resto del mondo, circondata perennemente da un esercito di morti affamati. I mesi diventarono anni, le cicatrici di Sebastiano, sia fisiche che spirituali, guarirono e si lasciarono medicare dalle premurose cure di Enrico, l’unico pastore che era riuscito a scappare alla minaccia dei morti. Il prete prese Sebastiano sotto la sua ala protettiva, e vide il bambino che aveva raccolto per la strada diventare un ragazzo dal fisico prestante e dalla mente sveglia. Insegnò il Latino al suo discepolo, la lingua della chiesa e degli uomini colti. Lo istruì ad avere fede nel signore e trasmise lui un codice morale basato sulla carità cristiana e sullo spirito di sacrificio e abnegazione.
La città di Ferrara venne liberata dall’esercito del neo costituito Sanctum Imperium nei giorni di Settembre dell’anno 1951, Sebastiano aveva 18 anni. Vide i Templari sfilare per le strade della città, finalmente libera dall’assedio dei morti dopo quasi un decennio. Vide nell’esercito della chiesa i salvatori che potevano finalmente opporsi ai mostri che avevano rovinato e spezzato le vite di tante persone, compreso lui. Confessò a Don Enrico la sua ammirazione per coloro che lui vedeva come eroi dell’umanità, e il parroco decise di usare la sua influenza religiosa per far si che Sebastiano fosse potuto entrare a far parte dell’ordine templare, come scudiero. Quando l’esercito templare ripartì da Ferrara, alla volta di nuove città da liberare, Sebastiano si unì ai soldati, al servizio di Fratello Giustino da Como, un templare che da subito aveva combattuto la piaga dei non-morti, anche prima della ricostituzione dell’ordine da parte di Sua Santità. Per anni Sebastiano fu istruito sul comportamento e sulle capacità del vero templare, preparato a diventare un membro attivo del nuovo ordine combattente, grazie al quale le terre d’Italia stavano venendo strappate dalla presa dei morti, e riconsegnate ai vivi perché le ripopolassero. Trascorse molto tempo come Scudiero, nella rocca templare di Bologna.
Il suo Maestro si diresse a Napoli, dove la sua presenza era gradita da uno dei grandi membri dell’ordine, Sebastiano lo seguì, e nella città partenopea i suoi anni di servigi furono finalmente riconosciuti e premiati. Venne nominato Errante, membro a tutti gli effetti dell’ordine Templare.

Aspetto

Altezza: 1.78
Peso: 78
Capelli: Lunghi, lisci e biondi, tenuti sciolti sulle spalle.
Occhi: Grigi.
Carnagione: Bianca.
Abbigliamento: Sebastiano veste con la tunica dell’Ordine di cui fa fieramente parte. A completare il suo vestiario vi sono un paio di stivali ben tenuti per tenere i piedi all’asciutto e un mantello cerato, in grado di ripararlo dalla pioggia e dotato di cappuccio.


Segni Particolari (tatuaggi,cicatrici in accordo con Pregi&Difetti):
Un brutto sfregio gli percorre la parte destra del viso, partendo dalla fronte e finendo sulla guancia.


Elenco averi materiali :
Essendo entrato nell’ordine Templare, Sebastiano ha rinunciato a tutti gli averi materiali che possedeva prima di prendere i voti.
Le poche cose che il suo voto di povertà gli concedono di portare con sé sono:
-Una pergamena con timbro papale che attesta l’appartenenza all’Ordine, e che contiene tutti i suoi dati, oltre a una sua foto cucita in calce. Tale pergamena funge anche da foglio di via. Sebastiano ha infilato la pergamena in una busta di stoffa cerata, cucita. Questo gli permette di portarla appresso senza paura che si bagni e l’acqua rovini il prezioso documento.
-Una spada recante il sigillo dell’ordine dei Templari. L’elsa è molto sobria, ma la tempra dell’acciaio e molto buona e la lama è affilata. Una semplice iscrizione decora la guardia: un antico motto cristiano “In Hoc Signo Vinces”. Dotata di una semplice elsa di cuoio nero.
-Un rosario, i cui grani sono di vetro nero, e la cui croce è fatta di un materiale che sembrerebbe corallo. Un oggetto pregevole, dono di Giustino da Como al suo allievo prediletto.
-Un’edizione della Sacra Bibbia. Dalla scritta presente sul retro della copertina si legge che il tomo è stato stampato nel 1933, l’anno di nascita dello stesso Sebastiano. Sicuramente non si tratta dunque di un libro nuovissimo, ma di certo è facente la sua funzione. Di proprietà di Sebastiano dal giorno della sua iniziazione.
-Una tunica bianca recante la croce rossa, simbolo dell’Ordine. Fornita anche questa a Sebasiano il giorno in cui è entrato nell’Ordine.

Descrizione emotiva, mentale e spirituale (in accordo con il Tarocco Dominante):
Tarocco Dominante: La Forza.
Sebastiano considera se stesso paladino dei poveri e degli oppressi, e vede la propria appartenenza all'Ordine come un'occasione per dare il suo contributo a distruggere il male che infesta questo mondo dai Giorno del Giudizio. Vede nella piaga dei Morti la principale causa delle sofferenze dell'umanità, e non esiterà a incolpare quelle che lui considera "creature del Demonio". Dotato di una profonda e incrollabile fede cristiana, impartitagli sia dal suo mentore in giovane età, sia durante il suo addestramento da templare.


Pregi e Difetti

Brutta Cicatrice: Ricordo del giorno in cui perse i suoi genitori, e fu ritrovato da Don Enrico. Il pastore non seppe mai come il ragazzo si procurò questa cicatrice che deturpa il suo viso, altrimenti dai tratti molto dolci e proporzionati, Sebastiano non lo ha mai rivelato a nessuno.

Coraggioso: La Paura non fa parte della vita di Sebastiano, così come non fa parte di quella di qualunque Templare degno di tale nome. Sebastiano è un valoroso che non ha paura di ridere in faccia alla morte.

Dote Innata: Sebastiano presenta una particolare abilità nel trattare piccole ferite, e nel medicare tagli o abrasioni di piccola entità. Si tratta di una dote piuttosto comune per i suoi tempi, ciononostante il templare si è dimostrato più di una volta particolarmente abile nel medicare se stesso e i suoi compagni.


Frase “Concetto” del Personaggio:

“Non Nobis Domine, Non Nobis, Sed Nomine Tuo Da Gloriam!”
Gridata prima di gettarsi nella pugna.

“Requiescat in Pacem”
Detta dopo aver ucciso l’ultimo dei nemici.


Descrizione situazione familiare e legami affettivi

Fratello Giustino da Como: Mentore e istruttore di Sebastiano, grazie a i suoi insegnamenti ora il giovane è potuto diventare errante. Cavaliere fedele all’Ordine e dalla grande esperienza nella lotta ai Morti. Di lui anche Sebastiano sa poco, trattandosi di un tipo molto riservato pur se non scontroso.

Don Enrico: Al secolo Enrico D’ambrosia, prete ordinato già prima degli eventi del Giorno del giudizio. Ha sempre continuato a professare l’esercizio, assumendo il ruolo di pastore spirituale della piccola comunità dei sopravvissuti di Ferrara. Uomo molto alto, da giovane deve avere avuto un fisico assai prestante. Tiene molto a Sebastiano, suo prediletto, e ha aiutato a inserirlo nell’ordine templare, grazie alle sue conoscenze. Uomo carismatico e dalla mentalità aperta, nonostante la sua figura emani autorevolezza, anche grazie al potere che la sua carica gli conferisce.
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